“Ero straniero e mi avete accolto” L’Odissea delle vite perdute

15 Febbraio 2016

Pubblicato da: Redazione
C’era Marco, cieco come Omero: dormiva per terra alla stazione Notarbartolo. C’era Danilo, con i capelli bianchissimi, piegato e incanutito come un padre che ha atteso invano il ritorno del figlio da una guerra lontana. C’era Ignazio, intrattabile e iracondo come Polifemo. C’era il clochard Pascal: lui era Ulisse, da un viaggio all’altro, da una […]

C’era Marco, cieco come Omero: dormiva per terra alla stazione Notarbartolo. C’era Danilo, con i capelli bianchissimi, piegato e incanutito come un padre che ha atteso invano il ritorno del figlio da una guerra lontana. C’era Ignazio, intrattabile e iracondo come Polifemo. C’era il clochard Pascal: lui era Ulisse, da un viaggio all’altro, da una patria all’altra, senza ritorno. C’è una donna senza nome che fa pensare a Penelope, perché tesse e trama continuamente la stoffa della sua vita, trascorsa dentro un istituto, senza mai uscirne, senza mai vedere altra Itaca che non sia il biancheggiare di un un muro. Ecco uno stralcio dell’Odissea delle vite perdute di Palermo. Ma qualcuno le ha raccolte e ritrovate.

La comunità di Sant’Egidio ha sede in piazza Beati Paoli, nel cuore del Capo. I suoi volontari rimettono insieme cocci di esistenze rotte. Non solo barboni: anziani, bambini, gente del quartiere che ha bisogno della spesa. Il leader spirituale è Renzo Messina, di giorno bancario, di sera e di notte seminatore di solidarietà con i suoi compagni di missione. “Sant’Egidio – racconta – nasce qui intorno al Duemila. Da militare, a Roma, mi ero avvicinato alla comunità originaria, avevo visto come lavoravano. Sono tornato, ho continuato a seguire la casa madre romana, poi ho pensato che forse si poteva fare qualcosa per questa città, apparentemente disperata e tanto ricca di speranza. Siamo partiti con un gruppo di amici. Ogni lunedì organizziamo un giro per sostenere chi dorme di notte all’aperto, abbiamo un servizio docce, mandiamo avanti la scuola della pace per i bambini, visitiamo gli anziani… Non siamo soli. Ci sono tanti altri gruppi. C’è Biagio Conte che è stato il primo, ci sono gli Angeli della notte, l’elenco è lungo; appunto, la speranza vibra forte, anche se molti non la scorgono”.

La prima uscita serale non si scorda mai. “Eravamo agli inizi – racconta Renzo – comprammo qualche panino e andammo alla stazione Notarbartolo. Lì, incontrammo Marco, un clochard cieco, sporchissimo, di cui nessuno si prendeva cura. Fu lui il nostro primo compagno di strada. Ho i volti di tutti con me. Non scorderò mai Danilo che aveva i capelli candidi ed era sempre pulitissimo. Il Tg2, in una occasione, lo intervistò di spalle; un amico lo riconobbe, guardandolo in tv, dalla voce, e lo ospitò per due settimane”.

Per spiegare cosa sia Sant’Egidio, Renzo Messina ha riunito i suoi volontari in sede. Una sorta di cenacolo intorno a un tavolo di compensato. Ognuno a turno racconta del filo che lo ha portato qui, ognuno conserva l’immagine di qualcuno che era affamato, nudo, assetato ed è stato rivestito e saziato.

“Anche io sono bancaria – dice di sé Cettina Cammarata -. Penso che le buone azioni e la preghiera possano cambiare il bene in male. Io penso molto a Pascal. Era stato perfino nella legione straniera, aveva combattuto e subito esperienze atroci. Era sempre allegro, ironico, capace di sorridere. Perfino negli ultimi tempi, quando non poteva alzarsi, ci diceva: ‘sono felice che siete arrivati’. Ora riposa ai Rotoli”. Molte storie del cenacolo sono legate a un ‘c’era una volta’. Non si resiste al lungo senza un tetto sopra la testa.

“Ma è importante che l’amicizia e l’affetto circolino, perché possono tutto e proteggono tutti”, dice Chiara Motisi. Il suo angelo della notte indimenticabile è lo scorbutico Ignazio. Il sorriso di Chiara lo conquistò e sciolse la sua ira da ciclope accecato dalla sventura. “Aveva un tumore. Accettava le medicine solo da noi. Gli ultimi giorni, una figlia che non voleva saperne più nulla venne a trovarlo in ospedale. E si riconciliarono”. Gli ospiti del buio e del marciapiede hanno alle spalle vicende familiari complicate, padri che li hanno disconosciuti, figli che vivono in America. Hanno fisionomie e memorie sepolte dentro una nebbia indissolubile. Interviene Rosario Riginella, uno della prima ora: “Tanta gente viene a darci una mano per sensibilità, perché non desidera restare immobile davanti alla sofferenza. Il cinismo non è così diffuso, come si talvolta si crede. E da noi si rintraccia un po’ di serenità”. Come si fede nella foto che ritrae una festa natalizia, tra volontari e invitati.

Chella Vella presta la sua opera da volontaria con la truppa di Sant’Egidio da dieci anni: “Mi sono avvicinata e il mio orizzonte è cambiato. Prima i poveri mi facevano paura. Ma ho scoperto che non ci vuole tanto a cadere in basso, senza reti di protezione. Nessuno è davvero al sicuro. Io mi occupo dei pacchi di spesa per le famiglie del Capo. Vengono a ritirarli soprattutto le donne. Sono mogli con un marito in carcere che devono fare quadrare i conti e non è facile”.

Sempre le donne compongono il coro dolente di ogni tragica rappresentazione. Come Penelope – il nome vero non si può scrivere – che fu abbandonata in un orfanotrofio quando era neonata e ora si trova in una casa di riposo. La sua solitudine la narra Angelina Agnello, una energica signora di una settantina ad anni, che va a trovare gli anziani: “Non conosce altro che istituti. Non so bene i particolari, so che non ha mai avuto una famiglia. Quando parliamo, mi domanda cosa significhi averla”. Penelope tesse e ricuce la tela dell’immaginazione che l’esperienza ha crudelmente scucito. “C’è sempre un dettaglio che mi commuove – spiega Angelina – quando lei rammenta i periodi dell’orfanotrofio e si sfoga: nessuno la adottò, perché aveva e ha un occhio offeso. I genitori volevano bambini sani e belli…”. Anna Maria Danti dice: “Io cucino soltanto” e lo sussurra, come se fosse un diminutivo del bene. Renzo la riprende affettuosamente: “Chi cucina è sempre la persona più importante”. Chiude Vincenzo Ceruso, volontario, sociologo e scrittore: “Gli ultimi ti cambiano lo sguardo, è inevitabile. Allargano gli spazi di umanità. Se li scopri, una sola volta, non li dimentichi più”.

C’erano Ulisse con la sua legione straniera, il cieco della stazione, l’uomo dai capelli bianchissimi, Polifemo che bevve al confine con la morte un sorso di dolcezza, Penelope che continua a tessere la gioia che non ha mai provato. Nessuno di loro è mai tornato a casa. Nessuno di loro è stato mai lasciato solo, straniero e nudo, con la sua sua Odissea.

Tratto da LiveSicilia: http://livesicilia.it/2016/02/14/ero-straniero-e-mi-avete-accolto-lodissea-delle-vite-perdute_714728/ Domenica 14 Febbraio 2016 – 06:33 di Roberto Puglisi